A Borutta la cattedrale romanica colpisce per la sua raffinata architettura e ospita dal 1950 una comunità di monaci benedettini

Un’oasi di pace, arte e preghiera, dove ripercorrere secoli di storia. La cattedrale di Sorres a Borutta è infatti uno dei più importanti monumenti dell’arte romanica nell’isola e dopo avere conosciuto un periodo di splendore, seguito da uno altrettanto lungo di oblio, dalla metà del secolo scorso è tornata ad essere un centro pulsante di religiosità, ospitando dal 1950 una comunità di monaci benedettini.

Realizzata tra il 1170 e il 1200, la cattedrale fu intitolata a San Pietro per confermare il ritrovato rapporto tra la chiesa sarda e quella di Roma dopo il lungo periodo bizantino nell’isola. Sorge su un colle di quasi 600 metri, probabilmente su resti di precedenti edificazioni nuragiche
e romane. Per la sua ampiezza, gli studiosi ritengono che la cattedrale fosse anche una sorta di fortezza, a tutela di Sorres, un centro oggi scomparso.

A colpire è innanzitutto la facciata, in cui la luce mette in risalto i colori della pietra scura vulcanica (trachite e basalto) e quella chiara calcarea del tufo sardo. All’interno, nelle tre navate sostenute da otto colonne, la bicromia propria del romanico spicca in maniera spettacolare. Il pulpito è in stile gotico, mentre l’abside sorprende per la sua eleganza e lo slancio architettonico.

La sacrestia dà accesso alla ricostruita sala capitolare, in cui spicca una Via Crucis realizzata da Aligi Sassu. Anche il chiostro è stato ricostruito e su due dei suoi lati potrai ammirare gli affreschi che illustrano episodi della vita di San Benedetto. Nei locali adiacenti è possibile
acquistare prodotti, frutto del lavoro dei monaci.